A questa iniziativa hanno già aderito 54 aziende da ogni parte del territorio, unite dallo scopo comune di far conoscere la ricchezza enogastronomica, artigianale, culturale e tradizionale di una parte del Friuli ancora ricca di tesori da rivelare. Come la Cipolla Rossa di Cavasso Nuovo, presidio Slow Food, caratterizzata dalla tipica tunica rossa con riflessi dorati che si tinge di toni più rosati nei terreni della Val Cosa. Una cipolla, dal cuore croccante e dolce, ottima da mangiare anche cruda, mai piccante.
Era tradizione che le donne della pedemontana pordenonese, al levar del sole, scendessero da Cavasso Nuovo e Castelnovo del Friuli per portare a Maniago, Spilimbergo, Claut, Andreis o Barcis i loro cesti carichi di queste cipolle che erano elemento base dell’alimentazione della zona. Così come lo era la pitina, polpetta di carne affumicata che, ieri come oggi e anche oltre i confini regionali, rappresenta una vera e propria icona gastronomica della Val Tramontina.
Originariamente composta da carni ovine, caprine o da selvaggina, la pitina deve la sua caratteristica forma di polpetta all’impossibilità di reperire budella per insaccare nelle zone di montagna e questo comprometteva la possibilità di conservarla. La pitina non richiedeva particolari attrezzature: era possibile prepararle ovunque, anche in malghe lontane particolarmente isolate. La preparazione della pitina ha sempre seguito la disponibilità di materia prima: una capra che si spezzava una zampa, un malessere da parto o l'abbattimento di un camoscio, erano l'occasionale condizione per la sua immediata preparazione.
Le Dolomiti Friulane, infine, sono l’indiscusso regno di saporiti formaggi, come il formaggio asìno e il formai tal cìt, e di cantine di prim’ordine, spesso votate al recupero e alla valorizzazione di quei vitigni autoctoni, come Ucelùt, Sciaglìn, Piculìt Neri, Forgiarìn e Cjanòrie, che ne sottolineano l’identità enologica.
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